LA NOBILTA' LIGURE ED IL MONDO ANIMALE
RITRATTI, SIMBOLOGIA, STEMMI E SPIRITO “ECOLOGISTA” ANTE LITTERAM
di Angela Valenti Durazzo

 

Cani da compagnia ai piedi della famiglia dei padroni o sul grembo di nobildonne dagli abiti sontuosi; agili levrieri che accompagnano gli aristocratici nelle battute di caccia; pappagalli dal piumaggio sgargiante; gatti dallo sguardo enigmatico; cavalli scalpitanti. Queste ed altre specie animali hanno conquistato nei secoli uno spazio nei ritratti ufficiali e negli stemmi delle più illustri dinastie, contribuendo, anche il Liguria, alla celebrazione personale, familiare e di classe.

Ed è soprattutto l'arte, testimone ed interprete dell'evoluzione della società, a svelarci un campo nel quale, spirito “ecologico” della nobiltà e significati allegorici, convivono assumendo di volta in volta un diverso linguaggio ed in molti casi, più semplicemente, testimoniando il legame di rispetto e fiducia esistente tra l'uomo e i suoi amici a quattro zampe.

Il cane, in particolare, metafora per eccellenza di fedeltà cieca, attraversa le opere di tutti i tempi. Anche i moderni “scatti d'autore” ci mostrano i principi William e Kate alla finestra di Kensington Palace con il figlio appena nato e con Lupo, un cocker spaniel di colore nero che li accompagna in ogni occasione. La stessa regina Elisabetta, oltre ai cavalli, predilige i corgi, il primo dei quali, Susan, le venne regalato dal padre Giorgio VI. Da allora ha scelto di aumentare la Royal Dog’s Family, alla quale destina pasti serviti in ciotole d'argento e di permettere ai fotografi di immortalarla con i suoi cani a Buckingham Palace. Il cane prediletto del Principe Raneri III di Monaco, Odin, è protagonista, invece, di una commovente foto nel 2005 mentre segue il feretro del padrone. Di umore decisamente più euforico, invece, Patsu, bulldog francese, che scende scodinzolante la scalinata del Palais Princier insieme ai neo sposi Andrea e Tatiana Casiraghi.

Ma il green style sfoggiato dai reali ha com'è noto radici antiche. Anche a Genova e nel nostro territorio, infatti, i grandi maestri, inserirono spesso nelle tele gli animali dei nobili effigiati: in sottofondo in alcuni casi, quasi comprimari di rango, in altri. Numerosi sono i dipinti dedicati al tema e non possono essere segnalati tutti. Fra questi citiamo il ritratto di Giovanni Andrea I Doria (erede dell'ammiraglio Andrea Doria) con il molosso Roldano, donato da Filippo II di Spagna. Nella tela, attribuita ad Alessandro Vaiani, conservata nella Villa del Principe a Fassolo, l'artista compie quasi un'umanizzazione dello splendido esemplare sul quale il Doria poggia benevolmente la mano destra mentre con la sinistra cinge l'elsa della spada. Il compagno inseparabile del Doria è anche protagonista di una tela di Aurelio Lomi raffigurante un giovane che ne striglia il manto bianco con una spazzola d’argento. Al di là della evidente valenza simbolica (il “Gran Roldano” rappresenta infatti la riconoscenza del sovrano di Spagna per la lealtà mostrata dalla nobile famiglia) il Doria mostra un sincero attaccamento al suo amico a quattro zampe tanto da farlo seppellire quasi come fosse un congiunto nei giardini del Palazzo ai piedi della statua di Giove (in seguito abbattuta) e con tanto di epigrafe che ne esalta “fede e benevolenza” : «Qui giace il gran Roldano – recita la lapide - cane del principe Gio. Andrea Doria il quale per la molta sua fede e benevolentia fu meritevole di questa memoria, e perché servì in vita sì grandemente ambedue le leggi, fu anca giudicato in morte, doversi collocare il suo cenere appresso del sommo Giove, come veramente degno della real custodia. Visse XI anni et mesi X morse in settembre del 1615 giorni 8 ora 8 della notte».

Un altro significativo esempio è il ritratto di Andrea Doria da anziano con il suo gatto, simbolo di autonomia e destrezza, attribuito al fiammingo William Key. Il Grande ammiraglio guarda lo spettatore con il volto altero segnato dalle rughe mentre su un tavolo, ritto sulle zampe anteriori, un gatto soriano lo osserva con sguardo vigile. Gli animali, infatti (pur tralasciando il vasto capitolo delle allegorie legate alle specie animali nelle opere di tema religioso, mitologico, eccetera) possono servire ad accentuare l'intensità ed il messaggio che il pittore vuole trasmettere, incidendo nell'atmosfera della scena pittorica. Il cane, per esempio, comunica senso di protezione, tranquillità o al contrario, se abbaia o ringhia , di pericolo incombente, combattività, ostilità.

Prendiamo ad esempio la famiglia di Maria Teresa d'Austria dipinta nel 1754 da Martin van Meytens. La sovrana appare con il consorte e figli (furono 16 in tutto di cui 10 sopravvissuti) mentre due cagnolini al centro della scena giocano fra loro, riuscendo ad accentuare l'atmosfera di sintonia che si voleva dare della famiglia della sovrana. Spostandoci dalla Vienna imperiale alla Genova dei Dogi, citiamo un altro ritratto multiplo, quello della famiglia Lomellini di Anton Van Dyck (National Gallery of Scotland di Edimburgo) ai piedi del quale un cagnolino bianco in movimento sembra sfuggire al severo protocollo stemperando l'atmosfera ufficiale. Anche ne Il giovane fanciullo genovese su una terrazza di Van Dick, conservato al Dublino National Gallery of Ireland, e considerato “una delle scene più grandiose che Van Dyck abbia mai dedicato ad un bambino italiano” (Van Dyck a Genova pag. 260-261) l'aristocratico e diafano fanciullo, vestito con uno sgargiante abito rosso, allunga la mano, quasi sfuggendo all'ufficialità della posa, verso il proprio cane, introducendo nell'opera il senso della spensieratezza che l'età giovanissima reclama.

Un altro “protagonista” è il pappagallo. Lo vediamo nel ritratto della marchesa Maria Serra Pallavicino realizzato nel 1606 da Pieter Paul Rubens (National Trust di Kingston Lacy) “appollaiato sullo schienale cui è appoggiata la nobildonna, dipinto a colori vivaci e colto nell’atto di beccare l’angolo superiore sinistro della sedia: l’animale, considerato simbolo mariano si riferisce probabilmente al nome dell’effigiata” (S.M. Ferraioli. Rubens in Italia 1600-1608. La Ritrattistica) ma sottolinea anche la ricchezza e la “regalità” che l'abito bianco intarsiato d'oro e l'insieme dell'opera vogliono comunicare.

Un'altra celebre nobildonna con pappagallo è Paolina Adorno Brignole Sale di Van Dyck, conservata a Palazzo Rosso di Genova. “...Sulla sua sinistra una sedia, in secondo piano ci fa capire che la donna, diventata una gran dama si è alzata per mostrare orgogliosa il suo rango, sul bracciolo della sedia poggia un pappagallo rosso, simbolo di opulenza perché proveniente da commerci esotici. Il pappagallo fu aggiunto in un secondo momento da Jan Roos, collaboratore di Van Dyck specialista nei soggetti di natura”. Al ritratto dell'esponente del patriziato genovese, si affianca quello equestre (con cane) del consorte, il marchese Anton Giulio Brignole Sale, di Van Dyck. Le due tele sono considerate “tra i più belli ed importanti esempi della ritrattistica ufficiale vandyckiana”. Il nobiluomo viene immortalato a cavallo “nella più aulica delle pose, fino a pochi anni prima riservata ai sovrani” tanto che a Giuseppe Banchero, autore di Genova e le due riviere “sembrò di poter leggere nello sguardo di fuoco del corsiero un messaggio personale dell’orgoglio della nobiltà italiana” mentre Gustave Flaubert in visita a Genova scrive “...il cavallo è caracollante un piccolo cane abbaia ai suoi piedi; il viso dell’uomo è greve, pallido, aristocratico, dolce e triste...”. Ed è proprio al cane che dal basso allunga e volge il muso verso il padrone che il fiammingo affida un messaggio di allerta e vigilanza.

Ben diversi, ma ugualmente carichi di significati allegorici, i due cani che Martin van Meytens, inserisce nel ritratto settecentesco del Conte Giacomo Durazzo e di sua moglie Ernestine Aloysia Ungnad von Weissenwolf, conservato al Metropolitan Museum of Art di New York. Sulle ginocchia il nobile ha un piccolo barboncino simbolo di fedeltà, a cui accarezza teneramente l’orecchio destro. Un cane da caccia, invece, ai piedi di Ernestine “effigiata in un’olimpica e distaccata serenità, come una sorta di Dea con i suoi animali sacri, attraverso i quali lei domina sulla fedeltà e la dedizione, senza cedimenti se non di fronte alla verità”. E non è tutto: “la fioritura generale della stagione, appena iniziata, che rappresenta, insieme con la rinascita generale della vita, la ripresa delle convenzioni ipocrite e formali della corte, le battute di caccia appunto, metaforicamente intese anche come riscoperta non solo della libertà, ma dell’antico e complesso legame, o sentimento, che intercorre tra il cacciatore e la preda medesima” (A.F. Ivaldi Da Tintoretto a Rubens, pag. 347).

Voltando pagina ma restando sempre nel mondo animale non possiamo non fare un accenno agli stemmi degli illustri casati dove spesso si fa ricorso a fiere bestie come aquile e leoni che simboleggiano il potere o il coraggio, o a figure utilizzate quali stemmi parlanti, che richiamano cioè il cognome attraverso le immagini (per le simbologie citate di seguito si veda Dizionario Araldico di Piero Guelfi Camajani, Ed.1940). Citiamo fra queste dal Libro d'oro della nobiltà di Genova di Angelo M.G. Scorza del 1920, i tre pesci barbi della famiglia dei Balbi; il cervo che si arrampica su una montagna dei Cervetto; le sei cicale argentate dei Cicala; La Gallina con i suoi piccoli della famiglia Chioccia; i leoni rossi e galli neri dei Galliani. Per tornare agli amici più fedeli: gli agili levrieri che sostengono una scala dell'antica dinastia dei Cambiaso; il barboncino seduto dei Canevaro; il cane dei Canessa e quello sormontato da una corona dei Recagno. La nostra carrellata continua con la capra d'argento elevata sullo sfondo di tre montagne verdi sormontate da tre stelle d'oro dei Clavarino (quest'ultima rappresenta “la prolificità e la potenza della stirpe. Per le sue capacità di scalare, è simbolo anche di sicurezza”); il granchio d'oro dei Gritta; il tasso della famiglia Tasso e Tassorello ed analogamente il grillo della famiglia Grillo; il drago della famiglia Draghi (rappresenta fedeltà, vigilanza e il valore militare), il luccio dei Lussio; il gatto con il topo tra i denti dei De Katt, l'oca dei De Loco; l'elefante che sostiene una torre dei Malfante (simboleggia la forza, la grandezza d'animo e la stirpe antica, data la sua longevità”); la vacca rossa dei Vaccara; il liocorno argentato dei Cornero; il lupo nero dei Pastorelli (simboleggia il capitano ardito); i porci della famiglia Porci e Streggiaporci; e i suini “rampanti” degli Streghini. E se questi ultimi esponenti del mondo animale apparissero ad alcuni non sufficientemente “nobili” per connotare un casato, occorre precisare che il porco è simbolo “del giuramento e quindi della fedeltà”. E così anche in araldica, come nelle opere d'arte, gli animali diventano portavoce di un messaggio di valore ed orgoglio antico, di un'appartenenza di sangue e di razza, di una celebrazione dinastica, che la nobiltà veicola fino ai giorni nostri.

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