All'Associazione Nobiliare Ligure Genova

Cari amici,
l'interesse sollevato nell'ambiente dalla tesi da me sostenuta nel Convegno di Studi del 1984, circa il diritto dei patrizi genovesi ultogeniti al titolo di marchese, mi invoglia ad ampliare il discorso ed a predisporre una memoria dimostrativa che potrebbe anche diventare utile nel caso la nostra Commissione Regionale dovesse inoltrare dei ricorsi "di giustizia" alla Giunta Araldica Centrale. Eccola.

Il titolo di Marchese

Caratteristica prima ed essenziale di ogni nobiltà è l'eredita­rietà dei diritti nobiliari. Il figlio del nobile è nobile fin dalla nascita per il solo fatto di essere nato legittimamente da padre nobile. Questa caratteristica è comune a tutti i tipi di nobiltà in Italia e, per quanto ne so, in tutto il mondo.
In Italia la nobiltà si può classificare in tre principali categorie:

1° quella di origine feudale
2° quella di origine civica
(entrambe con funzione pubblica)
3° quella concessa a titolo onorifico da vari Sovrani, tra cui il Pontefice
Però in tale ereditarietà, comune a tutte le tre categorie, ognuna di esse ha norme particolari proprie, diverse dalle altre.

La nobiltà feudale avendo come funzione l'amministrazione di un feudo, doveva necessariamente rispettare il principio della primogenitura per evitare il progressivo frazionamento del feudo stesso.

La nobiltà civica invece non ha mai avuto in nessun caso alcun motivo di distinguere tra primogenito e ultrogenito, anzi, essendo la sua funzione quella di mettere tutti i suoi membri a disposizione dell'amministrazione collegiale della città, è logico che si sia preferito poter scegliere di volta in volta il fratello più adatto al compito a cui doveva essere destinato.

La nobiltà onorifica non ha regole costanti, ma questa categoria non interessa il presente problema.

La nobiltà genovese, come tale, (e cioè non prendendo in considerazione i titoli che derivano da eventuali investiture Sovrane a favore di cittadini genovesi su feudi entro e fuori il "Dominio") è esclusivamente una nobiltà civica, ed ha sempre seguito le regole di tale nobiltà. Dalla fine del "Comitato" di Genova e cioè dall'inizio del regime comunale (1100) e fino al 1528, i nobili e cioé coloro che avevano il potere nelle loro mani, erano chiamati "cives" (vedi il BREVE dei Consoli dei Placiti pubblicato negli ATTI della SOCIETA' LIGURE DI STORIA PATRIA, 1858, 1° vol. — pag. 80) e in nessun documento anche successivo si trovano accenni a problemi di primogenitura. Nella prima riforma del 15 aprile 1528 (V. ms/4 Biblioteca Archivio di Stato di Genova pagg. 24 e 25) essi assumono la denominazione di "cives nobiles" e viene statuito che "eorum posteri cives nobiles appellabantur", senza che si parli di distin-zioni tra i vari figli. Nella seconda riforma del settembre 1528 al Cap. TI della legge (vedi manoscritto precedente) troviamo confermato che gli ascritti alla nobiltà "verranno chiamati "cives nobiles", mentre al Cap. III si prescrive che a 18 anni i figli dei suddetti verranno ascritti al "Liber nobilitatis". Ma non viene fatta nessuna distinzione relativa alla primogenitura. La riforma del 1576 (vedi: Leges novae — Genova 1584) non porta novità nella materia, e al Cap. IV leggiamo: "i figlioli legittimi che nasceranno poi da costoro così assunti alla nobiltà (sono i prescelti nelle votazioni quotannis) si intenderanno ancora loro nobili" (poi vennero ascritti anche gli illegittimi). La norma relativa all'elezione del DOGE prescrive poi in queste leggi al Cap. XXV i seguenti requisiti: "... sia prestante d'animo, di consiglio, di esperienza e abbia congiunto lo splendore dell'anima alla nobiltà. Si sia astenuto per 15 anni continui da qualsivoglia arte interdetta ai nobili, sia nato di legittimo matri-monio, abiti nella città, sia maggiore di 50 anni, sia talmente versato nei Consigli, Magistrati, Legazioni e amministrazione della Repubblica così che possa facilmente sopportare e reggere tanto carico. Abbia un lauto patrimonio che possa comodamente sostenere l'autorità e dignità dell'ufficio". Ma come si evince, neanche per essere nominati Dogi occorreva essere nati primo-geniti. Analoghe sono le norme per l'elezione a tutte le altre cariche. I verbali dei processi di ascrizione alla nobiltà concludono con la decisione: "adscribatur in libro nobilitatis" ma in nessun caso viene neppure indicato se si tratta di primogenito o di ultrogenito e sul "Liber" i nobili vengono iscritti in ordine cronologico di decisione senza alcuna distinzione. Il 16 novembre 1581 viene presa dai Serenissimi Collegi la Deliberazione che: "i nobili cittadini nanti al Senato e Magistrati si nominano con il titolo di Magnifico" e si precisa "qui titulus non possit variari, minui, vel augeri, nec aliquo modo admitti, sudirive scripturae aliquae possint, in quibus civibus nobilibus alius titulus detur. Exclusis ab hac lege Excel.mis principibus Doris et Massae, quibus solitus titulus detur". (vedi ms/365 Archivio di Stato Genova, Archivio Segreto busta nobilitatis n. 2859, e Forcheri: Doge Governatori... ecc. pag. 27), e neanche in questa legge si fanno distinzioni di primogenitura. E questo titolo di "Magnifico" si riscontra invariabilmente in tutti i documenti fino alla caduta della Repubblica Genovese (1797) a favore di tutti i nobili cittadini. I discendenti degli ascritti al "Liber nobilitatis" (Libro d'Oro) si qualificavano però talvolta "Patrizio Genovese" e non mi risulta che il governo della Repubblica (che pure aveva sancito essere il "Magnificus" l'unico titolo permesso) abbia sollevato eccezioni. Anzi, ultimamente, ho trovato nella "Deliberazione" dei Padri del Comune (5 maggio 1777) relativa all'apertura della Strada Nuo-vissima (via Cairoli) che "... lo zelo di alcuni Magnifici Patrizi... fa sperare...". Forse l'autorità considerava giustamente il "Patrizio" come una qualifica perfettamente legittima per il suo carattere indicativo di nobiltà decurionale. Questa qualifica era ed è infatti usata in questo senso in moltissime città d'Italia dove esisteva una nobiltà comunale, anche se non sovrana come quella di Genova e di Venezia. Giustamente però, e saggiamente, i nostri aggiungono al termine di "Patrizio" l'aggettivo di Genovese che li distingue da altri minori patriziati e forse farebbero meglio oggi a riesumare l'antico titolo di Magnifico definendosi M.P.G. (Magnifico Patrizio Genovese) come nel '700. Recentemente mi è stata anche segnalata da un amico una pietra sepolcrale esistente nella Cattedrale di Anversa dove un Giovanni Battista Cattaneo Della Volta, morto nel 1671 ma non rintracciato nè nel Libro d'Oro nè nei processi di ascrizione, viene gratificato dei titoli di "eques" e di "patricius Genuensis". Questo dimostrerebbe che i nobili Genovesi usavano questa qualifica, con la specifica di Genuensis, con la stessa fierezza degli antichi Romani — Civis Romanus sum (e ne avevano ben diritto se pensiamo a che cosa era Genova in quel periodo di storia). Ma in Genova fino al 1797 il titolo ufficiale era quello di "Magnificus" e nei documenti ufficiali non ne era consentito nessun altro, neppure per coloro che erano investiti di feudi imperiali con titolo marchionale. Per questi ultimi, in periodo di Repubblica, ho trovato il titolo di "Marchese" solo in documenti scritti fuori Genova, mentre nei documenti emessi in città si trova sempre solo "Magnificus". A Genova esiste poi una "tradizione" in base alla quale l'imperatore Carlo V venuto a Genova dopo la "liberazione" di Andrea D'Oria avrebbe proclamato ai nobili radunati: "Vos omnes marchiones appello". Premesso che nei documenti d'epoca non se ne è mai trovato alcuna traccia, non è da respingere la tesi secondo la quale la frase sarebbe stata effettivamente pronunciata ma non sarebbe stata recepita dagli interessati. Infatti l'Imperatore aveva potuto richiamarsi alla "marca" imperiale della Liguria ed al diritto Genovese di governarla, ma per converso una simile dichiarazione • poteva significare un'affermazione di persistente sudditanza dall'Imperatore; ed è noto che risale proprio a questo periodo la (giusta) pretesa Genovese del "superiorem non reco­gnoscens" che era alla base della "sovranità" della Repubblica. L'aver respinto questo tentativo di Carlo V potrebbe anzi spiegare la citata legge (di poco successiva) del 1581 relativa al titolo di Magnifico che esclude l'uso di altri titoli. Tra i precedenti del nostro problema, c'è anche la pratica di un Molfino, cittadino Corso che si dice discendente da ascritto al Libro d'Oro Genovese, e che nel 1859 chiede a Napoleone III il riconoscimento del titolo di Marchese, sostenendo trattarsi di un diritto spettante a tutti gli ascritti al Patriziato Genovese, e presenta in appoggio alla domanda una favorevole dichiarazione dell'amministrazione Comunale di Genova. La domanda non venne accolta perché la discendenza non era sufficientemente provata. (Vedi: De Ferrari "La nobiltà della cessata Repubblica di Genova e il suo titolo marchionale — Galileo 1890). Passata la Liguria sotto il Piemonte, i governi Sabaudi, impregnati di tradizioni feudali, non gradirono il titolo di Magnifico, che era fuori delle loro consuetudini: per qualche tempo tollerarono fosse sostituito dal titolo di Marchese, che era entrato spontaneamente nell'uso per tutti i discendenti degli ascritti al Libro d'Oro (forse anche perché in parte ne avevano già antico diritto quali investiti di feudi imperiali), poi però vollero regolarizzare la situazione, ufficializzando le attribuzioni del titolo, ma applicando in modo restrittivo l'art. 31 del regolamento della Consulta Araldica del 1888. Anche a Venezia, d'altronde, il governo Imperiale Austriaco aveva ritenuto opportun1/4) attribuire ai Patrizi Veneziani un titolo di origine feudale e aveva scelto quello di "conte", ma il titolo veniva concesso a tutti i discendenti e non solo ai primogeniti. Al contrario il governo Regio in quel Decreto ha commesso un grave errore araldico e storico. Il Decreto del 1889 infatti autorizza la Consulta Araldica a proporre il riconoscimento per Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e Presidente della Consulta Araldica, del titolo di Marchese ai primogeniti dei discendenti degli ascritti alla nobiltà Genovese, e in questo modo applicava una norma di carattere feudale nei confronti di una nobiltà che essendo "civica" non poteva avere distinzioni di primogenitura. D'altronde se il R. Decreto avesse parlato di concessione Regia (con LL.PP.) nulla quaestio; Sua Maestà aveva diritto di concedere titoli a chi e con le clausole che meglio credeva. Ma qui si parla di riconoscere e cioè di confermare un diritto già esistente, e se a Genova un membro di una famiglia aveva diritto a un titolo nobiliare questo diritto lo dovevano avere anche i suoi fratelli, perché a Genova, lo abbiamo ripetutamente dimostrato, non esistevano distinzioni di grado di nobiltà fra i figli di uno stesso padre. Quindi avendo il Regio Decreto del 1889 riconosciuto implicitamente che i Cittadini Genovesi ascritti al Corpo della nobiltà avevano trasmesso a loro discendenti il titolo di Marchese ne viene di logica conseguenza, in base alle leggi Genovesi, che questo titolo era stato trasmesso a tutti i discendenti in linea retta mascolina e non solo ai primogeniti. Questo Decreto suscitò infatti immediata reazione da parte di qualche Patrizio ultrogenito che fece osservare che egli era già in possesso di documenti firmati da S.M. dove veniva chiamato Marchese (cosa che d'altronde era nell'uso) e con l'accennata disposizione del 30-IV-1890 si autorizzò il riconoscimento "ad personam" del titolo di Marchese a quei Patrizi che "essendo di elevata posizione sociale" (! ) "già godevano di tale titolo in antecedenti provvigioni regie". Quale migliore dimostrazione che i Patrizi Genovesi venivano chiamati marchesi già prima del 1889, senza distinzioni di primogenitura, persino dal Re? Anche oggi, chi rivolgendosi a un Patrizio Genovese, non lo chiama Marchese anche se non è il primogenito? Evidentemente poi la disposizione Ministeriale del 1890 voleva essere una sanatoria... a Sua Maestà ) ma implicitamente riconosceva lo stato di fatto, l'uso. E che questo uso fosse realmente esistente lo dimostra anche il fatto che in tutte le Corti Straniere i Patrizi Genovesi venivano sempre chiamati Marchesi. Forse questo può anche dipendere dal fatto che dal '600 in avanti i Magnifici ascritti al 'Liber Nobilitatis" hanno sempre fatto uso di una corona facilmente confondibile con la classica corona marchionale (anzi è persino leggermente arricchita) ma se questo uso non era mai stato contestato vuoi dire che il titolo civico di Magnifico era consi­derato almeno pari a quello feudale di Marchese. Soprattutto però io desidero insistere sul fatto che il decreto del 1889 non concede il titolo ma lo riconosce e cioè dichiara che il diritto al titolo era preesistente. Perciò in base alle leggi Genovesi, si è trasmesso a tutti i discendenti dagli ascritti al libro Genovese della Nobiltà, e deve quindi essere ora riconosciuto a tutti.

Mi pare che di fronte a questi argomenti la Giunta Araldica Centrale del Corpo della Nobiltà potrebbe riconoscere il titolo di Marchese anche agli ultrogeniti discendenti da ascritti al Libro d'Oro Genovese che ne facessero oggi domanda.

Cesare Cattaneo Mallone di Novi
Conte di Pierlas

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